Microsoft fa causa al governo USA per violazione della privacy

La diatriba fra FBI e Apple comporta strascichi pesanti, anzi pesantissimi, che non intendono spegnersi neppure oggi. Microsoft, infatti, ha fatto causa al Dipartimento di Giustizia statunitense. Il dossier presentato dalla multinazionale denuncia una costante attività di “violazione della privacy” da parte della polizia e delle autorità, che consisterebbe nella catalogazione e utilizzo di dati personali degli utenti per fini sconosciuti, e l’impedimento per l’utente di sapere quando e come vengano utilizzati i suoi dati.

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Il fascicolo che la Microsoft ha presentato è piuttosto voluminoso, ma soprattutto punta alla concretezza. Sono presenti numerosi dati raccolti dalla società, che avrebbe ricevuto nell’arco di poco più di un anno almeno 5624 richieste da parte dell’FBI di accedere ai dati degli utenti. Ovviamente, l’FBI spesso e volentieri è solo la longa manus del Dipartimento di Giustizia degli USA, motivo per cui la denuncia è partita nei confronti di quest’ultima.

Non solo. Quasi la metà delle richieste fatte dall’autorità al colosso informatico erano provviste di ingiunzione giudiziale, che impediva alla società di far sapere al cliente che l’FBI aveva avuto accesso ai suoi dati. In almeno 1752 casi, questo “divieto di trasmissione della notizia” era previsto a tempo indeterminato. Di fatto, l’autorità giudiziaria in quasi un quarto dei casi imponeva a Microsoft di non comunicare mai al cliente la trasmissione dei dati personali.

Microsoft ha sollevato la causa sottolineando che l’incostituzionalità eccepita dai propri legali consistesse nell’impossibilità, per il cliente, di sapere che i suoi dati erano sotto trattamento da parte dell’autorità giudiziaria. Inoltre, sempre secondo la multinazionale creata da Bill Gates, le richieste dei dati erano troppo numerose, e “impartite con leggerezza” senza discriminare i casi in cui ad essere in gioco fosse la sicurezza nazionale e quelli in cui non lo fosse. Fra i principi citati dal pool di legali di Google, annoveriamo quelli costituzionali che sanciscono il principio di “diritto all’informazione” e al “dovere di avvisare i cittadini che subiscono perquisizioni”.

Ovviamente la risposta dell’FBI non si è fatta attendere, basata sul presupposto che, nell’azione anti-terrorismo, sia ovviamente necessario non comunicare al sospettato che sia sotto controllo altrimenti questo potrebbe mutare irreparabilmente le modalità di comunicazione fra i complici, annullando di fatto la validità dell’investigazione.
Vedremo prossimamente gli sviluppi di questa guerra perenne fra il diritto alla privacy e all’informazione e quello della sicurezza nazionale e della lotta al terrorismo.

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